
29 Mag “Vengo anch’io? Sì, IOSI”: un modello di cura e una forma mentis per i professionisti delle relazioni d’aiuto
La parola Equipe è un derivato di équiper, termine che anticamente significava imbarcarsi e, proprio come le barche in un molo, il lavoro d’equipe tende verso obiettivi lontani, giunge in terre spesso inesplorate, è ricco di sfide e permette di accedere a mondi nuovi da scoprire. Del resto, proprio come un equipaggio, i professionisti che lavorano in equipe hanno compiti e ruoli diversi e portano sull’imbarcazione la propria professionalità, i propri pregi e difetti, il proprio modo di interagire con sé e con il mondo che li circonda.
Oltre la somma delle parti
Sovente accade che i professionisti che si approcciano per la prima volta a lavorare in equipe, si sorprendano di come il proprio punto di vista e le proprie competenze divengano, assieme a quelle dei colleghi, parte di un tutto che è più della somma delle sue parti. Il valore aggiunto del lavoro di squadra è proprio quello di poter osservare le medesime situazioni da prospettive differenti, sia dal punto di vista professionale sia da quello umano e personale. Prospettive che si basano tanto sulle proprie esperienze formative e lavorative, quanto sulle esperienze di vita vissuta, le quali definiscono e delineano la forma di professionisti delle relazioni di aiuto, ma anche la sostanza di esseri umani consapevoli e presenti a sé stessi.
Io, l’altro e il gruppo
Tuttavia, non sempre chi entra a far parte di un’equipe si interroga o riflette su cosa di sé conduce all’interno del proprio gruppo di lavoro, sistema composto dai colleghi, ma al cui interno è anche inserito il paziente in tutte le sue sfaccettature di vita. Ciò può accadere per svariati motivi e uno fra questi, soprattutto per chi lavora in ambito socio-sanitario, è legato ad uno sbilanciamento del proprio focus di pensiero e di azione. Esso, infatti, è frequentemente e comprensibilmente spostato verso il paziente, il “malato”, il bisognoso di cura. Essere orientati al paziente, al suo bisogno, alla volontà di prendersi cura rende un operatore empatico, disponibile e sensibile ed è una connotazione fondante del professionista della relazione d’aiuto. Tuttavia, se non ci si sofferma su alcune posizioni interiori, su alcune domande che permettono di radicarsi dentro sé stessi, con maggiore difficoltà sarà possibile riconoscere l’altro e connettersi con lui all’interno di una relazione di aiuto. Per la maggior parte del tempo ci si pone al di fuori di sé, orientati all’altro, con uno sguardo verso l’esterno che dimentica di rivolgersi, in primis, al proprio essere ed esistere. Attraverso queste lenti, poco si riflette sull’importanza di essere parte di un sistema in cui il paziente, la persona che si incontra in navigazione con tutti i propri bagagli di vita è un nodo di una rete, di cui fa parte anche il professionista, con le proprie valigie.
In sostanza, per meglio vedere l’altro è importante saper vedere sé stessi e sé stessi in relazione con l’altro. Infatti, il valore aggiunto di un professionista è saper essere connesso, in un gioco di correlazioni intra- e inter-personali: in connessione con il paziente, con la sua rete sociale, con i suoi punti di debolezza e i suoi punti di forza, con i suoi contesti di vita e con uno sguardo sempre rivolto anche a sé stesso. “Chi sono?”, “come sto?”, “posso accettarmi così come sono?”, “quali parti di me voglio donare a me stesso e agli altri?”, “quali azioni posso intraprendere per raggiungere i miei obiettivi?”, “quali sono le zavorre che appesantiscono il mio cammino?”, “cosa posso trattenere e cosa posso lasciar andare?”. Queste sono tutte domande e spunti di riflessione che permettono di volgere l’attenzione a sé, per poi prepararsi all’impegnativo lavoro con i colleghi e con i propri pazienti.
L’equipe IOSI
Lo sguardo consapevole e un approccio “alla rovescia”, in cui prima di guardare l’altro si è posta l’attenzione su di sé, attraverso il quale prima di affrontare il mare aperto è stato possibile preparare l’equipaggio e l’imbarcazione è stato l’approccio di Elìce nel delineare e dare forma all’equipe di lavoro. Questo è stato l’inizio di un percorso di connessione con sé stessi, con i colleghi e, in ultimo, con i pazienti. Entrare a far parte di un’equipe attraverso la meditazione e un percorso di consapevolezza ha permesso di ricavare uno spazio interno al sé in cui comprendersi, riconoscersi, perdonarsi, accettarsi, seminare e far germogliare, prepararsi all’accoglienza senza dimenticare di ascoltare e osservare sé stessi.
Il percorso di preparazione dell’equipe è durato circa un anno ed è stato una strada fatta di tappe importanti: partire da una tanto banale quanto complessa presa di posizione riassumibile in “io mi amo e mi accetto così come sono oggi”; dopo l’accettazione, proseguire con la possibilità di prefigurare qual è il sé migliore che si desidera presentare a sé e al mondo; definendo gli obiettivi è stato poi possibile riflettere sugli ostacoli e sui pesi da cui è necessario prendere distacco e distanza con determinazione, al fine di raggiungere la miglior versione di sé; proseguendo con una nuova consapevolezza, è stato possibile prendere un impegno, fare una promessa a sé per tendere alla versione migliore di sé accettando i propri limiti; infine, a conclusione del percorso, si è scoperta l’importanza del “piccolo fare”, ovvero si è giunti a comprendere che dalle piccole e semplici azioni, nascono le grandi rivoluzioni. Questi sono gli elementi chiave del percorso di formazione di un’equipe IOSI, la quale segue il metodo di meditazione OMM (One Minute Meditation) e che conduce ad accogliere la complessità, che non è caos, ma un insieme infinito di connessioni possibili.
La condivisione con i propri colleghi di tempi e spazi per sé, la meditazione di gruppo, il confronto con le proprie parti interiori e con le risonanze degli uni con gli altri hanno reso possibile l’ingresso di ogni professionista in una realtà che integra più sistemi e dimensioni. Con l’orecchio pronto ad ascoltarsi e ad ascoltare, è possibile comprendere fino in fondo anche un modello di cura che, nella sostanza, è più della somma delle sue parti. Infatti, chi si approccia al mondo di Elìce e al modello IOSI (operatori compresi) scopre un’attenzione alla persona in ogni sua sfaccettatura di esistenza, un riguardo e un interesse semplicemente umano, che si pongono l’obiettivo di connettere, riconnettere, integrare, arricchire di significati la vita dei pazienti, ma anche quella dei professionisti.
Questo è stato il senso di entrare a far parte del mondo Elìce: imbarcarsi su una nave speciale, verso un percorso altrettanto speciale, che permette all’equipe di professionisti che stanno per salpare e prendere il largo di dire a cuore aperto: ECCOCI.
Giulia Monteleone
Psicologa, Neuropsicologa, Esperta in disturbi dell’apprendimento
Fondazione Elìce