Oltre le parole: la psicoterapia con persone afasiche

Oltre le parole: la psicoterapia con persone afasiche

Non solo parole 

Nell’immaginario collettivo la psicoterapia si configura come la terapia della parola e, provando a tradurre questo concetto in un’immagine, ci basta pensare a due soggetti in una stanza intenti a comunicare verbalmente.  

Questa concezione si basa sulla consuetudine che la parola è uno degli strumenti più utilizzati in terapia per condividere idee, esperienze ed emozioni, ma è anche la modalità in cui la psicologia in senso lato è stata più rappresentata a livello mediatico, anche grazie a film e serie televisive.  

In questo articolo ci proponiamo di ampliare questo sguardo e riprendere il senso della psicoterapia: la psicoterapia è anzitutto fondata sulla relazione che si instaura tra paziente e terapeuta, che va ben al di là dello scambio di parole tra i due.  

Parlare e comunicare non sono sinonimi! La comunicazione non si esaurisce certamente nel linguaggio verbale, che ne rappresenta una minima parte: le componenti non verbali della comunicazione trasmesse attraverso il corpo, la sua postura e tensione muscolare, la mimica, lo sguardo, il timbro, il tono e la velocità dell’eloquio trasmettono una quantità di informazioni molto superiori alle singole parole. Un esperimento* ha infatti dimostrato come l’esito della comunicazione dipenda solo per il 7% dalle parole, tutto il resto risulta invece connesso ad aspetti come le espressioni del volto, lo sguardo, il movimento del corpo e/o dall’aspetto vocale (tono di voce, ritmo, silenzi ecc).  

Se dunque è vero che le parole occupino uno spazio così marginale, come è possibile che sia ancora così poco frequente trovare centri in cui la psicoterapia sia proposta anche a pazienti con delle compromissioni proprio di quest’area? 

 

Una afasia-tante afasie 

Per coloro che non abbiano dimestichezza con questi termini, specifichiamo che cosa si intenda per afasia e quali tipi di afasia possano esistere.  

L’afasia è un disturbo del linguaggio che può caratterizzarsi per un’alterazione dell’espressione o della comprensione delle parole. Esistono molte tipologie di afasia (e una buona diagnosi neuropsicologica è fondamentale per comprendere le peculiarità di ciascun soggetto), ma le più comuni sono due: fluenti e non fluenti 

Le prime si caratterizzano per un uso ricco e, almeno apparentemente, fluido di una molteplicità di termini di cui però viene a mancare o ad essere deformato il significato, producendo così frasi poco comprensibili per sé e per gli altri. Al contrario invece, nel caso delle afasie non fluenti, la persona presenta una marcata riduzione della produzione linguistica; ad essere compromessa è la possibilità di esprimersi verbalmente, pur essendo in genere conservata la capacità di comprensione, con tutta la portata di frustrazione che da questa condizione può derivare.  

 

Cambiare paradigma 

A partire dalle considerazioni fatte fin qui, è semplice immaginare quanto intensamente una persona colpita da un problema di linguaggio possa avere la necessità di un supporto in cui la componente relazionale sia ricca e supportiva, proprio come accade nella psicoterapia.  Purtroppo, invece, risulta inspiegabile come persone che hanno dovuto affrontare cambiamenti radicali, come lo sono quelli legati ad una cerebrolesione acquisita, magari connessi anche all’uso stesso del linguaggio, normalmente si trovino a non beneficiare di questi trattamenti, ma vengano relegate a seguire una moltitudine di terapie e trattamenti per recuperare l’aspetto strettamente cognitivo, che forse non è neanche quello che più degli altri incide sulla percezione di benessere in senso lato sperimentata dalla persona. 

Proviamo a fare uno sforzo di immaginazione: per un attimo vediamo compromessa la nostra capacità di comunicare a parole con gli altri, magari accanto a questo abbiamo anche qualche tipo di lesione nel corpo che ci rende più difficoltosi certi movimenti, rispetto a un “prima” da cui si sente un divario inimmaginabile in cui queste abilità erano date per scontate. Non c’è forse in questo più che in altri casi un bisogno importante di trovare una via per rielaborare l’esperienza e le proprie emozioni?  

Non è forse fondamentale il poter essere accompagnati a elaborare il trauma e supportati nel far emergere gli aspetti di resilienza che permettano alla persona di fronteggiare efficacemente questa nuova esperienza di vita, questa nuova identità che inizia con strumenti che sono cambiati?  

 

Il modello di Fondazione Elìce 

In Elìce, guidati da queste convinzioni, si è deciso di formare terapeuti e approfondire tecniche e modalità specifiche che rendano possibile ed efficace un’offerta psicoterapica specifica per pazienti con afasie e in generale cerebrolesioni acquisite.   

Il nostro modello terapeutico, sintetizzato nella sigla “IOSI® prevede un approccio di tipo Olistico alla persona, in cui essa possa essere presa in carico nella sua totalità, evitando di commettere l’errore di lasciare sullo sfondo il suo vissuto emozionale e la possibilità di “ri-trovarsi” in continuità con la propria storia di vita. Un ulteriore aspetto fondante la decisione di coinvolgere anche un* psicoterapeuta nel percorso consigliato riguarda gli effetti benefici che questo ha anche nel rendere il percorso di cura multisfaccettato, ma non frammentario, questo anche perché il modello di cura si prefigge di essere Interdisciplinare ed Integrato e la presenza di questa figura aiuta a restituire significati non solo al paziente, ma anche all’equipe di lavoro con cui si interfaccia quotidianamente. 

Relativamente al come questo percorso possa configurarsi vi invitiamo a non avere timori e ad affidarvi alla vostra e altrui fantasia nell’elaborazione di modalità alternative per mettere in condivisione esperienze, immagini e vissuti interni. Molteplici sono infatti le ricerche che attestano come la possibilità di utilizzare forme terapeutiche caratterizzate da una maggiore creatività, facendo ricorso all’arte, alla musica e al movimento, possano rivelarsi fruttuose in questo campo 

 

Parole d’ordine: “creatività” e “relazione”

Ritornando alle prime parole di questo articolo, l’essenza di un percorso di psicoterapia consiste nella creazione di una relazione significativa con il terapeuta e le modalità di entrare in relazione passano attraverso una moltitudine di modalità, ragion per cui, lo ribadiamo ancora una volta, l’assenza o la compromissione del linguaggio non implicano un’impossibilità di trarre i benefici sperati e attesi.  

Tutti abbiamo fatto esperienze di comunicazione intensa e soddisfacente in assenza di linguaggio: pensiamo al rapporto tra un genitore e un figlio ancora troppo piccolo per padroneggiare la parola come strumento di espressione. Dall’esterno potrebbe sembrare un’impresa complessa quella di riuscire a comprendere le richieste del bambino, espresse attraverso quello che, ad occhi esterni, può apparire come “solo” un pianto. Agli occhi dei genitori però basterà davvero poco per riuscire a conoscere il proprio bambino e tutte le sue diverse modalità di pianto, i suoi vocalizzi e i suoi gesti ed espressioni per rispondere in modo adeguato ai suoi bisogni. Il piccolo parla una lingua fatta di atti relazionali, non di sequenze corrette a livello sintattico e semantico.  

La relazione è ciò che consente nel caso citato come esempio, ma anche nella psicoterapia con persone afasiche, di addentrarsi nella scoperta di sé, dell’altro e delle irriducibili possibilità di creare connessioni, legami… insomma, relazioni. 

 

La “via dell’unione” 

Oltre ad essere possibile, la psicoterapia in presenza di afasia si presenta come una possibilità di ricerca di strategie sempre più adattive di gestione delle sfide della vita quotidiana e permette di “tenere insieme” le parti di vita che solitamente i pazienti che hanno avuto traumi con conseguenze sul piano cognitivo, motorio e/o linguistico faticano a percepire come parti di un’unica storia, la loro. Come ha detto una volta un’incredibile donna con un’esperienza di questo tipo alle spalle: “la psicoterapia aiuta se si vuole percorrere la via dell’unione e non lasciare la vita di prima e quella presente chiuse in compartimenti stagni”. 

Questo percorso nei casi di compromissione verbale può certamente beneficiare di strumenti “altri” rispetto alla sola relazione terapeutica sebbene questa rimanga comunque la colonna portante del lavoro. Da alcune ricerche è risultato molto proficuo introdurre come stimoli anche opere d’arte, fotografie, quadri, oggetti significativi per il paziente o oggetti presenti nella stanza di terapia.  

Per le caratteristiche peculiari che questa forma di psicoterapia presenta, è essenziale che il terapeuta sia capace di mettere in gioco una buona dose di creatività e flessibilità per esplorare le risorse del paziente, mentre allo stesso e ai suoi familiari è richiesto di darsi tempo e affidarsi 

 

Giulia Campana

Psicologa, Psicoterapeuta in formazione

Fondazione Elìce